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Nightswim Talks | 1 | Riccardo Michelucci

LA VENDETTA CULTURALE NEL CONFLITTO ANGLO-IRLANDESE


"C'è dall'altro lato, e questo è interessante da un punto di vista anche letterario, il fatto che gli irlandesi si sono vendicati in tutto ciò dicendo che sì gli inglesi ci hanno colonizzato per secoli, ci hanno depredato, ci hanno ucciso, ci hanno rubato tutto quello che avevamo. Noi però per vendetta, e grazie alla lingua che loro ci hanno imposto, ci siamo appropriati della loro letteratura, nel senso che se andiamo a vedere gli ultimi due secoli grossomodo di storia della letteratura in lingua inglese, i più grandi scrittori in lingua inglese sono irlandesi: George Bernard Shaw, Samuel Beckett, James Joyce, William Butler Yates. Per non parlare dei contemporanei, Seamus Heaney, che è qui alle mie spalle, anzi sull'altro lato. E quindi, è curioso, ma è così, quindi c'è una sorta di colonizzazione all'incontrario. Questo per raccontare un po' a grandi linee il rapporto odierno che c'è tra inglesi e irlandesi".





Ho incontrato per la prima volta Lorenzo Moscia esattamente dieci anni fa. Era il gennaio 2013 e eravamo entrambi a Derry, nella cittadina nota per i tragici fatti del 1972 e per la Domenica di sangue, oggetto anche del famoso film di Paul Greengrass del 2002. Non ci conoscevamo e siamo stati introdotti da comuni amici italiani perché spesso gli italiani hanno questa abitudine, non so se ce l'hanno tuttora, di andare a questa commemorazione e di partecipare appunto alla marcia che viene svolta da ormai 50 anni lì per commemorare appunto questa strage che avvenne nel 1972, il 30 di gennaio. Con Lorenzo appunto ci incontrammo a Derry e subito mi resi conto di essere di fronte a un bravissimo fotografo, un bravissimo collega e siamo rimasti in contatto per tutti questi anni, e mi ha fatto appassionare la storia di Gerry Conlon e dei Quattro di Guildford, un po' tutto quello che ha colpito quelli della mia generazione, ovvero quelli che hanno fatto l'università negli anni 90, quelli che hanno visto il famoso film di Jim Sheridan "Nel nome del padre", ormai una trentina d'anni fa. E rimasero colpiti appunto, io stesso, dalla gravità di quel caso, la gravità di quel caso amplificata dal fatto che non avveniva in America Latina, non avveniva in Asia, in un remoto paese magari dittatoriale, ma avveniva dietro casa nostra, avveniva nella civilissima e democraticissima Londra, dove tutti eravamo abituati ad andare a passare le vacanze o andare a trovare la fidanzata.





E l'enormità del caso, appunto, del miscarriage of justice, ovverosia non di errore giudiziario, ma come sappiamo di fatto di un caso di giustizia razziale. Nel caso di Gerry Conlon e degli altri, cioè l'accanimento specifico nei confronti di giovani irlandesi colpevoli solo di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato, in un'epoca storica particolarmente sensibile e particolarmente votata all'accanimento nei confronti degli irlandesi, perché, come sappiamo, in quegli anni il conflitto in Irlanda del Nord e il conflitto anglo-irlandese viveva gli anni più duri più drammatici e quelli soprattutto in cui l'IRA decise di portare il conflitto al di là del mare d'Irlanda, e quindi non concentrarsi soltanto a Belfast e nelle varie località dell'Irlanda del Nord ma portarlo direttamente appunto in casa degli inglesi.


Questo caso ha colpito tutti, ha colpito me stesso, è stato anche uno dei motivi – forse il motivo scatenante – che mi portò non soltanto ad avvicinarmi alla politica irlandese che seguivo all'epoca in maniera molto distratta e con scarso interesse ma anche a entrare in Amnesty International e quindi cominciare a fare attivismo per i casi come quello, non soltanto ovviamente in Irlanda e poi da lì ad alimentare diciamo questa passione poi sfociata in un lavoro sia per quanto riguarda il caso ovviamente di Gerry e degli altri e sia un po' per tutti i casi più ampi che hanno visto delle gravi ingiustizie e gravi violazioni dei diritti umani in in Irlanda del Nord.



Come dicevo il caso appunto di Gerry, il film di Jim Sheridan "Nel nome del padre" fu uno dei dei motivi che mi portarono a cominciare a seguire assiduamente quello che stava accadendo in Irlanda del Nord peraltro erano gli anni decisivi che avrebbero portato all'accordo di pace del ’98, quindi c'erano le fasi conclusive e più importanti del processo di pace. Da quel momento in poi io sono, come dire, un giornalista di formazione storica e quindi ho cominciato a seguire come giornalista il dopoguerra: quindi dalla firma dell'accordo di pace in poi e poi appunto avendo questo pallino della storia anche ad analizzare un po' tutti i vari trascorsi storici perché può sembrare strano, ma effettivamente il conflitto anglo-irlandese è forse il più antico conflitto della storia, nel senso che nasce sì nella sua fase moderna nel 1969, ma affonda le sue radici parecchi parecchi secoli indietro. Addirittura c'è chi lo fa risalire alla fase diciamo dell'alto Medioevo, alla prima colonizzazione del dell'Irlanda da parte degli altonormanni. Poi dopo la fase della conquista Tudor nel XVII secolo, la grande carestia nel XIX secolo, insomma ci sono varie fasi. Può sembrare capzioso e eccessivo andare così indietro nel tempo però in realtà questo spiega molto del rapporto odierno tra gli inglesi e gli irlandesi nel senso che, da una parte molti diciamo dei duri e puri, degli indipendentisti dell'Irlanda non soltanto del nord rinfacciano agli inglesi secoli di colonizzazione. Non so se ricorderete c'è questo altro film, "Michael Collins", anche quello di quell'epoca lì dove, Michael Collins all'epoca impersonato da Liam Neeson, in uno dei momenti cruciali del film rinfaccia al governatore inglese in Irlanda, gli dice: noi siamo arrivati in ritardo di sette minuti voi sono sette secoli che ci tardate a dare l'indipendenza. Cioè per dire c'è questa retorica che spiega molto del rapporto tra inglesi e irlandesi.


Sicuramente poi questo impatta anche su casi come quello di Gerry perché il caso appunto dei Quattro di Guildford, dei Sette Maguire, dei Sei di Birmingham, insomma tutto quello che viene raccontato nel documentario di Lorenzo Moscia, è forse la punta dell'iceberg di una gigantesca ingiustizia, una gigantesca situazione di violazione dei diritti umani che avvenne in quegli anni lì e che portò tanti, non soltanto loro, loro furono i casi più eclatanti, anche più noti a livello internazionale, questo grazie prima al lavoro delle organizzazioni per i diritti umani, di Amnesty International negli anni 80, ovviamente al lavoro della avvocata Gareth Pierce che fu decisiva come sappiamo dalla storia raccontata anche da Lorenzo e dopo chiaramente dal risalto mediatico portato dal film di Jim Sheridan.


Poi ci sono stati tanti altri casi che hanno portato l'Irlanda, diciamo Londra e Dublino, Londra e Belfast a confrontarsi. Penso per esempio al caso che citavo prima della Bloody Sunday: quello fu uno dei processi storici che portò un'inchiesta giudiziaria durare dodici anni a costare 300 milioni di sterline, insomma a cambiare la storia, anche se poi dopo dalla montagna fu partorito un topolino, nel senso che non è mai stato incriminato nessuno, è stata soltanto riconosciuta una responsabilità oggettiva, ma senza che venissero puniti né i responsabili oggettivi di chi sparò appunto, di quel battaglione di paracadutisti britannici che sparò su dei civili disarmati durante la manifestazione pacifica di protesta di piazza e nemmeno i mandanti di tutto quello che accade.


Ciò per dire che sicuramente tra irlandesi e inglesi esiste un rapporto molto complesso che porta da una parte a esserci rivendicazioni, da una parte a esserci, non dico un odio perché questo sarebbe un po' eccessivo, però sicuramente un rapporto molto difficile. Dall'altra però, da parte di molti irlandesi c'è anche una sorta di non vorrei chiamarla sindrome di Stoccolma, ma diciamo una sorta di autolimitazione, nel senso che a volte molti irlandesi sono portati a riconoscere in Londra non una potenza coloniale, non un nemico, ma quasi una sorta di padre putativo, quasi come se non si potesse parlar male di Londra o come se alla fine quello che ci è accaduto, è stato un po' anche colpa nostra. Quindi una sorta di, come dire, autopentimento collettivo.



È un rapporto molto complesso che nasce dal fatto che non siamo di fronte a un colonialismo giovane, recente, nato negli ultimi 50, 100 anni, ma un colonialismo che ha portato l'isola più piccola, ovviamente l'Irlanda, a essere stata per secoli una sorta di giardino di casa del grande impero britannico. E questo ha portato al depredamento di quelle che sono state non soltanto le materie prime, non soltanto la forza lavoro, non soltanto il condizionamento dell'economia dell'isola più piccola nei confronti del potente vicino, ma anche per dire al venir meno della lingua. Un tempo gli irlandesi non parlavano inglese, un tempo gli irlandesi parlavano l'irlandese, detto anche gaelico, che adesso è rimasto in una piccolissima fetta del paese, è parlato da pochi anziani. E c'è chi dice giustamente beh sì, però se adesso gli irlandesi parlassero irlandese e non inglese non avrebbero la potenza culturale che hanno adesso, la potenza anche in parte per certi versi economica e questo sicuramente è vero.


C'è dall'altro lato, e questo è interessante da un punto di vista anche letterario, il fatto che gli irlandesi si sono vendicati in tutto ciò dicendo che sì gli inglesi ci hanno colonizzato per secoli, ci hanno depredato, ci hanno ucciso, ci hanno rubato tutto quello che avevamo. Noi però per vendetta, e grazie alla lingua che loro ci hanno imposto, ci siamo appropriati della loro letteratura, nel senso che se andiamo a vedere gli ultimi due secoli grossomodo di storia della letteratura in lingua inglese, i più grandi scrittori in lingua inglese sono irlandesi: George Bernard Shaw, Samuel Beckett, James Joyce, William Butler Yates. Per non parlare dei contemporanei, Seamus Heaney, che è qui alle mie spalle, anzi sull'altro lato. E quindi, è curioso, ma è così, quindi c'è una sorta di colonizzazione all'incontrario. Questo per raccontare un po' a grandi linee il rapporto odierno che c'è tra inglesi e irlandesi.


Effettivamente può sembrare strano perché siamo stati tutti educati a pensare che la Gran Bretagna sia la patria del diritto, sia un paese che è sempre stato fortemente democratico. E diciamo che ci sono varie sfaccettature in questa forma di democrazia. Sicuramente questa forma di democrazia fu interrotta nel modo più violento durante appunto quegli anni, in particolare negli anni 70 quando la fase più cruenta del conflitto anglo-irlandese portò l'IRA a esportare – o cominciare a esportare, perché poi lo continuò a fare fino alla fine degli anni 90 – il conflitto sul suolo inglese, quindi a Londra e nelle città britanniche. Questo portò non soltanto ad amplificare la guerra di propaganda perché il conflitto anglo-irlandese fu anche un conflitto di propaganda che portò Londra a monopolizzare nel modo più assoluto le fonti di informazione.



Pensate che a Belfast nei primi anni 70 c'era all'interno del quartier generale dell'esercito britannico, fuori Belfast, un ufficio che un famoso giornalista irlandese definì The Lisburn Lie Machine, cioè la macchina delle menzogne di Lisburn. Era un ufficio dove c'erano dei militari, degli addetti all'informazione che erano appositamente stati incaricati di amplificare tutte le notizie relative agli atti compiuti dall'IRA e allo stesso tempo tenere più basse possibile e possibilmente anche ribaltare quello che invece faceva l'esercito britannico, cioè l'obiettivo era quello di far passare – questo ci tentano ancora oggi – l'esercito britannico o comunque l'operato del Governo inglese in Irlanda come una forza di interposizione, una forza di peace keeping, insomma una forza che si interpone tra due contendenti e quindi far passare sempre questo conflitto, l’avrete sentito più volte definire un conflitto tra cattolici e protestanti, un conflitto di religione addirittura. Ebbene non ci può essere stata nessuna definizione più sbagliata e più fuorviante.


In tutto ciò chiaramente bisognava far passare gli irlandesi come dei sanguinari, come degli assassini nati, e quindi in quella fase storica lì dove appunto l'irlandese era forse ancora più di quello che in tempi più recenti è considerato qualunque musulmano, per esempio nell'epoca in cui c'era o Al Qaeda o l'Isis o insomma che facevano attentati, dall'undici settembre in poi, essere musulmano era quasi una colpa. All'epoca era una colpa essere irlandese.


Peraltro un caso simile a quelli di Gerry e gli altri accade alla fine degli anni 90 quando un ragazzo di Belfast fu accusato di far parte di un commando dell'IRA che si era reso responsabile di un attentato in Gran Bretagna e fu incarcerato e rimase in carcere per alcuni mesi e peraltro ebbe come avvocato difensore proprio Gareth Pierce e riuscì a uscire dopo un paio di mesi, cioè fu riconosciuta la sua innocenza. Perché vi racconto questo caso? Non solo per dirvi che sono tanti i casi che nei 30 anni grossolanamente indicati di conflitto in Irlanda del Nord nella sua fase moderna che hanno avuto appunto come vittime degli innocenti ma perché se questo caso di questo ragazzo che si chiama Michael Phillips, tra l'altro vive in Italia adesso, fosse accaduto negli anni ’70, probabilmente lui non se la sarebbe cavata con un paio di mesi di carcere ma ci sarebbe rimasto 10, 15, 17 anni. Quanto sono stati appunto Gerry Conlon e gli altri sventurati all'epoca proprio perché era una fase storica diversa. Primi anni ’70 era la fase più calda, la fase dove l'irlandese era identificato il 99,9% con un terrorista. Nella fine degli anni 90 chiaramente il conflitto stava concludendosi, era una fase molto più distesa, c'era un processo di pace che stava per sfociare nell'accordo del Venerdì Santo del 1998.





E quindi per dire che anche le grandi democrazie, le culle della democrazia come vogliamo definire Londra e la Gran Bretagna tutta, in determinati periodi, in determinate fasi storiche, interrompono drasticamente, tragicamente il loro percorso democratico e diventano qualcosa di molto simile a delle dittature sudamericane. E questo può sembrare forse un eccesso. Vi dico soltanto che nel suo lungo percorso di 30 anni circa questo conflitto ha visto a lungo anche l'operato di squadroni della morte, ovverosia di gruppi di servizi segreti o comunque di paramilitari infiltrati da Londra, quindi i famosi paramilitari lealisti che sono molto meno noti al grande pubblico italiano. Se si parla di attentati, se si parla di atti terroristici, il grande pubblico italiano pensa ovviamente subito all'IRA e quindi in realtà ci sono stati gruppi letali che hanno agito per decenni dalla parte opposta, la cosiddetta parte protestante, che sono stati a lungo infiltrati dai servizi segreti britannici e hanno compiuto gesti terribili. Basti ricordarne uno, peraltro l'anniversario cade proprio in questi giorni, 17 maggio 1974 ci furono due bombe, anzi in realtà erano tre: due a Dublino e una a Monaghan, è una cittadina vicino al confine tra la Repubblica d'Irlanda e l'Irlanda del Nord, ma è nella Repubblica d’Irlanda, fecero in totale 33 morti, tra cui un italiano, poveretto che morì a Dublino. E queste autobombe non le mise l'IRA, ma le misero paramilitari lealisti, questo è accertato da delle inchieste, con la collaborazione attiva dei servizi segreti britannici. Quindi per dire che questo accadeva negli anni ’70 e questo spiega in un certo senso molto bene a mio avviso anche l'atmosfera che si respirava in quei mesi in cui furono condannati Gerry e gli altri e in cui poi furono tenuti in carcere pur sapendo che erano innocenti.


Quando Lorenzo mi disse "Ho fatto questa intervista" ormai tanti anni fa, ci sentimmo, mi chiese un aiuto su alcune cose, anche su dei sottotitoli e poi si fece un piccolo crowdfunding iniziale. Diciamo che la cosa all'epoca era ancora un po' artigianale. E poi dopo ci siamo continuati a sentire. Lui mi aggiornava, mi diceva come stava andando e poi appunto, ho saputo che la cosa aveva preso una piega più professionale con una produzione, con dei fondi e quindi era diventata una cosa anche diversa rispetto a quella che era inizialmente, che era solo una bella intervista a lui diventata poi l'ultima intervista a Gerry Conlon prima che morisse.


Ritengo che sia importante che il pubblico italiano sappia, anzi più che sappia, magari molti hanno visto il film e potrebbero anche dire beh, ho visto il film ("Nel nome dl padre"). Sì, però è diverso, perché il film è una bellissima opera di finzione, è una bellissima ricostruzione, per alcuni versi anche romanzata, nel senso che Jim Sheridan non ha cambiato le cose fondamentali, però chiaramente l'ha reso un film per il cinema. Altra cosa è vedere il vero, cioè Gerry Conlon, vedere i veri protagonisti e soprattutto vederli nel loro dopo. Perché come sappiamo il film finisce con la liberazione. Quindi, diciamo, racconta la storia in sé e basta.





Perché non l'abbia fatto un irlandese, un inglese, si potrebbe dire che da una parte Lorenzo è stato più veloce, più bravo. più sveglio di tanti irlandesi perché non c'è motivo perché gli irlandesi non lo facciano, non l'abbiano fatto un film del genere. Peraltro Gerry, come si vede nel documentario stesso, era un personaggio molto amato anche dopo, non solo perché chiaramente era riconosciuto una vittima come gli altri, però loro, ad esempio Paddy Armstrong, i Quattro di Guildford, lo stesso Paul Hill che poi ha avuto una vita diversa perché è andato negli Stati Uniti e quant'altro – non sono diventati dei personaggi pubblici amati come Gerry Conlon, perché Gerry Conlon chiaramente ha avuto questo percorso da attivista, da uomo che si spendeva attivamente per i diritti degli altri e contro le ingiustizie subite da tanti altri. Gli inglesi non l'hanno fatto semplicemente perché, banalmente, il senso di colpa è troppo forte, perché io credo che tuttora ci sia qualcuno che sarebbe portato a dire, a pensare che “Beh, in fondo se hanno fatto tutti quegli anni di carcere qualcosa avranno pur fatto”. Cioè questo assurdo modo di pensare, ricordo lo disse anche recentemente un Ministro della Giustizia italiano – Bonafede, dice insomma "Non ci sono in carcere innocenti”, ecco. Se si vanno a vedere i rapporti dell'Associazione Antigone o delle varie associazioni italiane che si occupano di detenuti sappiamo che purtroppo ci sono centinaia anche in Italia di detenuti la cui innocenza è stata riconosciuta e che sono stati appunto incarcerati ingiustamente.


Il film va assolutamente visto, il documentario di Lorenzo Moscia va assolutamente visto perché è un pezzo di storia vicina a noi, è un pezzo di storia che racconta sì il quello che accade in Irlanda del Nord ma, come molte delle cose che sono accadute in Irlanda del Nord in quegli anni, hanno un senso di universalità, cioè ci raccontano qualcosa di noi come se fosse accaduto a noi, perché in fondo è accaduto davvero dietro casa nostra in uno dei paesi che sentiamo più affini, più vicini, più simili a noi ecco. Riccardo Michelucci è giornalista, saggista e traduttore, nonché esperto del conflitto anglo-irlandese. Scrive su Avvenire, Focus e Il Venerdì di Repubblica ed è uno degli autori e dei conduttori della trasmissione Wikiradio, in onda tutti i giorni su Radio Rai 3. Puoi seguirlo su www.riccardomichelucci.it Le foto sono di Lorenzo Moscia. Puoi trovare l'intero reportage Belfast New Anger qui


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