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"Per essere dei compositori è fondamentale continuare a studiare la musica, dalla classicità alle sue evoluzioni più recenti": intervista a Francesco Cerasi, compositore per "Muori di Lei"

  • info369948
  • 47 minuti fa
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Vent’anni di carriera. Film, serie, televisione, commedie, drammi, film d’autore, intratte- nimento e arte. Come si diventa compositore? Qual è stata la tua formazione?


Ho imparato a maneggiare la musica in modo autonomo, totalmente autodidatta, principalmente come reazione alla bocciatura in quarto ginnasio. Fino ad allora sono stato “un musicista ascoltatore” nel senso che avevo un ascolto attivo, compulsivo, continuo, e abbastanza analitico, fin dai 6 o 7 anni, ascoltando i dischi che c’erano in casa. Ascoltavo principalmente la musica in movi- mento, o a piedi o in viaggi in macchina molto lunghi e frequenti di tutta la prima parte della mia vita, e credo di aver sviluppato in modo inconscio un’ attitudine “visiva” della musica, che mi ha spinto a studiare la composizione ed i principi dell’armonia, in modo da poter comporre autono- mamente, diventando un “inventore” di musica, oltre che un ascoltatore.

Tre mesi prima che uscisse al cinema un film con cui avevo scritto la musica, studiavo “Lettere al- l’università “e davo ripetizioni di latino e greco.

Sono arrivato alla mia prima colonna sonora in modo tenace ma molto rocambolesco, quindi non credo che la mia esperienza possa essere esemplare da rispondere alla prima domanda, se non riportando brevemente, l’esperienza personale, ma credo che per essere dei compositori (oltre a semplici inventori di musica) sia fondamentale continuare a studiare la musica, dalla classicità alle sue evoluzioni più lontane o più recenti, nel modo più vasto possibile, senza steccati di generi o mode, poiché per commentare in modo “consapevole” delle porzioni di vita, seppur riprodotte al cinema, non si può, e non si dovrebbe, usare un solo “alfabeto” od un solo colore.


Su Muori di lei la musica, anche quella non originale, ha un ruolo importantissimo. Stefano è stato musicista e dà a questo aspetto un importanza fondamentale nella sua narrazione, come ti sei trovato a lavorare con lui, qual è stato il processo di creazione?


L’esperienza creativa del lavoro sulla musica di “Muori di Lei” è tra le più felici della mia esperienza e credo che questo sia nella massima parte merito di Stefano. Fin dalla sceneggiatura il ruolo della musica di repertorio era già molto definito, cosa che di solito non capita, era evidente fosse un elemento della scrittura. Ci siamo incontrati con poco dopo la fine delle riprese, parlando un po’ della dimensione del film, molto di Lucio Dalla e ascoltando musica varia da Glass a The Knife, dopo qualche giorno ho mandato dei provini da cui abbiamo poi basato la colonna sonora che attualmente c’è nel film. E’ stato un processo particolarmente fluido e quasi istintivo, nonostante non avessimo praticamente mai dichiarato una forma dell’ipotetica musica, ci siamo trovati d’ac- cordo, in modo tacito e immediato. Credo che l’esperienza musicale di Stefano lo abbia portato a lasciarmi molto libero in senso espressivo, ma soprattutto a guidarmi, con estrema chiarezza dove era necessario, dando indicazioni sempre sul senso della musica, sapendo da musicisti a quali erano i limiti e le possibilità sia creative che realizzative di volta in volta a disposizione. Senz’altro un tipo di interazione ideale tra regista e compositore.


Leggendo una tua intervista mi ha molto colpito il concetto di “musica e non musica” nei film, ovvero quando il compositore deve fare un passo indietro e lasciare che le immagini si commentino da sole, ce lo vuoi raccontare meglio?


Con piacere. Il suono e lo spazio, nel senso di forma, hanno caratteristiche simili. Anche l’architet- tura ha una sua ritmicità, fatta di pieni e vuoti, come in musica c’è il suono e la pausa, cosi anche nella struttura narrativa e musicale di un film ci sono pieni e vuoi, ovvero musica e “non musica”. Il compositore scrive sempre sia il suono che le pause.

E’ un’organizzazione compositiva che l’autore nel disegno generale della composizione deve porsi, seppur in modo più semplice di quanto facessero i compositori d’opera in tempi più celebri. In musica c’è un meraviglioso termine universale che è “tacet” di solito è riferito ad una sezione o ad uno strumento, intorno alla quale gli altri continuano a suonare, la musica continua.

Non è uno sciopero, o un’ inazione, ma è un silenzio attivo. Un concetto che anche dal punto di vista esistenziale, mi affascina molto.

Cosi ci sono dei passaggi nel racconto cinematografico che sono più efficaci con il solo suono della realtà, con non musica, senza un commento “irreale” , poiché per quanto bella o “giusta” possa essere la musica di commento non è un elemento della nostra realtà, ma un’operazione fat- ta in un tempo successivo a ciò che si racconta.

La quantità di musica in un film e la sua “invadenza” determinano molto del “gusto” di un film, ancor più se si pensa che il valore della musica è inevitabilmente, sia estetico che narrativo, o evocativo. Spesso il suono della realtà è già interessante di certa musica, anche al cinema, forse anche la mia.



Riccardo Scamarcio e Stefano Sardo sul set di "Muori di Lei"
Riccardo Scamarcio e Stefano Sardo sul set di "Muori di Lei"


Lavori fin dalla sceneggiatura? Cominci a immaginare la musica mentre leggi? Cosa hai pensato leggendo la sceneggiatura di Muori di lei, che mischia i generi e si trasforma conti- nuamente, confondendo commedia, eros, thriller, lavorando su ribaltamenti e colpi di sce- na?


La sceneggiatura di “Muori di Lei” ( cosi come secondo me anche il film, anche se sono di parte) è ambiziosa e molto riuscita, sia per l’intreccio e lo svolgimento, che per la convivenza tra i toni.

Quando ho immaginato la musica da proporre a Stefano non avevo ancora visto immagini del film, ma il testo era già particolarmente efficace, oltre alla caratteristica, di esser un film ambientato in uno scenario sonoro molto caratterizzato come quello del lock down, dunque con un suono di fondo molto sospeso e tenue. La composizione della musica del film è “geometrica” e minimale, proprio in seguito all’intreccio e alla continua carambola degli eventi da un uscio ad un altro, usando per la prima parte il suono “meno sonoro” dell’orchestra, cioè la marimba, una percussione intonata, strumento sospeso tra il ritmo e l’armonia, e poi un coro di voci femminili.

In realtà è proprio il ruolo della musica che è lo stesso del coro nel teatro greco, un commento on- nisciente, dove la voce in questo caso ha anche una componente, sarcastica più che ironica, come la scena del “Sunbath” dei due protagonisti, mentre dal balcone si applaude il personale medico durante la pandemia, o nelle confessioni finali di Messico.


Come ti interfacci con le altre figure che lavorano sul suono, montatori, fonici di mix? Ti è capitato di essere in disaccordo su alcune scelte, di dover cambiare direzione, dover cam- biare all’ultimo?


Come accennavo sopra essendo autodidatta, quello che ho imparato l’ho appreso dalle persone che lavorano nei film in cui ero coinvolto, per cui principalmente montatori e registi, ovvero la guida tecnica e artistica del compositore. E’ per me necessario avere un rapporto di fiducia specialmente con il montatore, poiché è la persona che conosce meglio il materiale a disposizione, è la guida alla fisionomia della scena e la sua visione e abilità, possono aver responsabilità enormi nella riuscita o meno della musica e del film. Mi capita spesso di proporre cambiamenti, oltre che di togliere brani o porzioni di musica al mix, dove credo sia più efficace. Per motivi vari il mix di questo film, che è seguito a tante proiezioni del montaggio musicale, non l’ho seguito in prima persona, ma abbiamo continuato nelle modifiche anche all’ultimo momento quando ne eravamo tutti convinti.


Come dicevamo all’inizio, lavori tantissimo. Solo nel 2024 hai creato la colonna sonora di più di dieci opere fra film e serie tv. Come riesci ad orchestrarti, a entrare in ogni progetto, ad essere originale rispetto a te stesso?


Forse più che di orchestrazione si tratta di arrangiamento e di istinto. Non so se sono cosi tanti film o il numero comprende quelli a cui ho lavorato precedentemente, ma per me la musica è un lavoro fino ad un certo punto, nel senso che do un valore economico al tempo, alle telefonate molto lunghe e frequenti (spesso non sempre), ai contrattempi a cui rimediare, alle apprensioni e ripensamenti come in tutti i lavori, ma non alla musica. Per me la musica è gratis, dunque è come se avessi 10 anni e mi invitassero sempre a giocare a pallone, mi è difficile dire no, dal punto di vista creativo la cosa non mi stanca, anzi, sotto altri aspetti che è necessario valutare, forse un po si, e cerco di controllarli per quanto posso, in modo che non influenzino il processo creativo.

Quindi detto sinceramente, negli ultimi anni passo molto tempo a scrivere musica in seguito a richieste concordate, ma credo che passerei lo stesso tempo a scrivere musica anche se non le avessi, per il motivo che spiegavo prima. Quella di tentare di non ripetersi, è una condizione che mi impongo per sopravvivenza oltre che per gusto e deontologia, come dicevamo all’inizio, ma va considerato che è un obbiettivo che nel suo conseguimento, passa ovviamente dal gusto del regista e dei produttori del film.



Riccardo Scamarcio e Mariela Garriga in una scena di "Muori di Lei"
Riccardo Scamarcio e Mariela Garriga in una scena di "Muori di Lei"


C’è una cosa, un autore, un progetto con cui o su cui vorresti lavorare ma che non sei ancora riuscito a fare? Il tuo sogno nel cassetto da compositore?


Il mio più grande desiderio da compositore, che ho ormai da più di 12 anni, è scrivere (buona) musica per l’architettura. Credo che la ritmicità e il cromatismo che ci circonda sia una partitura straordinaria da suonare. Ne parlavamo anche prima, l’ordine della “bellezza” nello spazio come nel suono ha regole simili.

Come compositore di musica per il cinema, considero lavorare con un grande Maestro, il vero premio per una persona che fa il mio lavoro, i premi con la statuetta e il resto dal punto di vista formativo o artistico non sono particolarmente nutrienti, e mi sembra che siano esperienze che si esauriscono in tempi brevi, la collaborazione con una persona che fa molto bene il proprio lavoro, invece può dare molto e per molto tempo. Solo che piacendomi le opere dei suddetti maestri, non mi viene in mente di sostituirmi ai collaboratori che hanno scelto e le cui scelte determinano la riuscita del filmi che tanto mi piacciono. Tempo fa avrei venduto mia madre ai beduini (per citare Woody Allen) per lavorare con Sorrentino o Moretti, oggi sono contento di poter vedere i loro film al cinema.

 
 
 

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